I fondamenti delle attività intellettuali
Benché, al giorno d’oggi, eruditi e ricercatori, umanisti o scienziati, possano svolgere le loro
delicate funzioni intellettive praticamente ovunque, sia elaborando liberamente
idee e concetti sia registrando comodamente i risultati delle loro complesse
elucubrazioni mentali in qualsiasi momento, con l’impiego di mezzi tradizionali (carta e penna) o con l’ausilio delle moderne apparecchiature elettroniche mobili (elaboratori
portatili, calcolatori palmari, sistemi di telecomunicazione satellitare), in
pieno terzo millennio l’ambiente di lavoro tradizionale di ogni intellettuale rimane lo studio
professionale e il tipico posto operativo è rappresentato ancora dalla classica scrivania, eventualmente corredata dei
necessari complementi bibliologici e archivistici validamente integrati con
dispositivi accessori ultramoderni di tipo fisso (telefoni digitali, impianti
telematici, complessi informatici).
L’ecologia professionale, l’ergonomia sperimentale e l’igiene specifica esaminano razionalmente, osservano scientificamente e valutano
sinergicamente le caratteristiche ambientali, le peculiarità funzionali e le condizioni sanitarie speciali delle postazioni operative degli
studiosi, analizzando dettagliatamente, considerando metodicamente e
verificando sistematicamente i comportamenti e le reazioni umane sul posto di
lavoro per adattare le situazioni contingenti globali agli stati psicofisici
individuali, ottimizzando il rendimento intellettivo.
Secondo i principi generali statuiti da queste scienze, l’ambiente ideale per lo svolgimento di attività intellettuali agevoli, valide e proficue, e per lo sviluppo dei relativi
processi speculativi specialistici, deve essere sano, accogliente e
confortevole, né troppo angusto, per non apparire opprimente, né eccessivamente ampio, per non risultare dispersivo, bene illuminato e
adeguatamente ventilato (fresco in estate e caldo in inverno), per non riuscire
umido o, al contrario, secco, quieto e ovattato, per favorire il raccoglimento
spirituale e la concentrazione mentale, e, infine, riccamente dotato delle
comodità genericamente necessarie, o degli agi soggettivamente irrinunciabili, compresi
tutti gli indispensabili strumenti di lavoro complementari comunemente
utilizzati nell’epoca contemporanea (biblioteca, calcolatori, apparati di telecomunicazione).
Il soffitto e le pareti devono essere tinteggiati con vernici non riflettenti
caratterizzate da colori “neutri” e “riposanti” per la vista, mentre le eventuali tappezzerie o boiserie devono essere
eleganti, ma sobrie, senza accostamenti cromatici “audaci” e “chiassosi” o vistose soluzioni stilistiche in grado di distrarre l’attenzione. Per il pavimento sono assolutamente sconsigliabili mattonelle o
lastre esageratamente lucide e parquet o rivestimenti lignei eccessivamente
rumorosi, essendo preferibili moquette, tappeti e guide fonoassorbenti.
Mobili e complementi di arredo in genere, costruiti con materiali naturali o
realizzati con sostanze sintetiche, devono essere ergonomici e funzionali,
colorati con tinte “morbide” e “pastose”, in maniera di non stancare l’occhio dell’osservatore, facilmente raggiungibili e comodamente utilizzabili, e, se
possibile, modulari e regolabili, per poter essere adattati alle differenti
esigenze operative.
Se la ventilazione naturale è insufficiente, lo studio deve essere climatizzato artificialmente, attraverso
idonei apparati di riscaldamento e adeguati sistemi di raffreddamento
completamente regolabili (opportunamente combinati con dispositivi di
umidificazione, con congegni di deumidificazione o con speciali apparecchiature
servocontrollate per la nebulizzazione selettiva) oppure mediante impianti di
condizionamento dell’aria totalmente automatici (revisionati periodicamente per provvedere alla
sostituzione obbligatoria dei filtri depuratori eventualmente ostruiti da
scorie volatili o incidentalmente contaminati da microrganismi patogeni), per
assicurare la stabilità dei parametri fisici (temperatura, umidità, aerazione) che caratterizzano il microclima del luogo di lavoro determinando
le condizioni termoigrometriche ambientali. L’illuminazione deve essere particolarmente curata per non indebolire
eccessivamente la vista, alterando sensibilmente le potenzialità operative; scelte architettoniche inopportune o soluzioni tecniche incongrue,
infatti, possono causare pesanti fastidi visivi, un profondo affaticamento
oculare e una drastica riduzione dei tempi di applicazione lavorativa. Se la
luce è naturale essa deve illuminare il piano di lavoro in maniera uniforme, senza
creare inopportune zone d’ombra, incidendo obliquamente attraverso aperture ampie e ben orientate; se si
impiegano fonti di luce artificiali, invece, queste devono essere
sufficientemente intense, ma moderatamente brillanti, razionalmente concepite e
accuratamente disposte, in modo di evitare qualsiasi fenomeno di riflessione o
di abbagliamento, e, preferibilmente, mobili. Un disagio ottico prolungato,
infatti, genera una marcata fatica visiva (scotomi scintillanti, miosi,
diplopia, lacrimazione, emicranie, dolori alla spina dorsale, ipertonia della
muscolatura antigravitaria, stanchezza diffusa, labilità emotiva, sonnolenza) con notevoli conseguenze di tipo psicosomatico in grado di
pregiudicare il rendimento professionale.
Dal punto di vista fonico, l’ambiente di lavoro deve essere molto silenzioso e assai tranquillo per non
creare interferenze con le complesse attività psichiche espletate dagli eruditi. I rumori provenienti dall’esterno possono essere efficacemente filtrati mediante la chiusura degli
infissi, con l’inserimento di pesanti tendaggi o attraverso l’interposizione di apposite cortine protettive. Se i macchinari eventualmente
presenti nello studio (climatizzatori, plotter, printer, scanner, telefax,
telefoni, termoconvettori) generano rumori fonometricamente o soggettivamente
rilevanti, per intensità, per durata o per caratteristiche timbriche, è consigliabile installare adeguati dispositivi di protezione ad elevato
coefficiente di assorbimento acustico in grado di assicurare la pace e la
serenità del luogo, oppure, semplicemente, sostituire o trasferire altrove gli impianti
non idonei. Ambienti rumorosi o siti acusticamente inadeguati, difatti,
provocano una consistente fatica uditiva (acufeni, tinnitus, vertigini,
cefalee, ipereccitabilità neuromuscolare, trisma, forte aumento della tensione nervosa, ansia,
irritabilità, variazioni paradosse del tono dell’umore) con sensibili complicanze neurovegetative e proporzionale diminuzione
della consistenza delle prestazioni intellettive.
(Sorprendentemente, la fatica visiva e la fatica uditiva sono elementi di
disturbo difficilmente avvertibili, come tali, a livello cosciente,
influenzando le attività cerebrali in maniera subdola e indiretta; tuttavia il piacevole senso di
sollievo e di liberazione da una sofferenza inconscia e la gradevole sensazione
di distensione psichica e di rilassamento generale registrabili al cessare
delle stimolazioni dannose per l’equilibrio psicofisico individuale testimoniano efficacemente il notevole tasso
di stress imposto all’organismo dai diversi fattori molesti.)
L’ergonomia posturale deve tener conto, soprattutto, delle particolarità strutturali e funzionali dei due elementi che costituiscono l’unità antropometrica operativa fondamentale: il piano di lavoro e il supporto
corporeo (cioè: tavolo e sedia).
L’accoppiamento complementare classico (scrivania stabile e poltrona fissa) o il
complesso operativo moderno (tavolo ergonomico componibile ad alta funzionalità e sedia girevole antiribaltamento con schienale regolabile) devono consentire l’adozione di una postura fisicamente confortevole e psichicamente rilassante, in
relazione alle caratteristiche somatiche dell’utente, senza creare ripercussioni negative dal punto di vista psicofisico. L’impossibilità di assumere una posizione lavorativa preferenziale soggettivamente giudicata
comoda e gradevole, infatti, causa nervosismo e irrequietezza che sfociano, a
breve termine, in un’evidente insofferenza e in una manifesta intolleranza per la postazione
operativa, con forti disagi a carico dell’apparato locomotore e spiacevoli implicazioni psicologiche. Inoltre, a lungo
termine, la tendenza ad assumere atteggiamenti corporei abnormi o innaturali può provocare considerevoli danni permanenti al sistema muscoloscheletrico, con
gravi deformazioni invalidanti della colonna vertebrale (lordosi, cifosi e,
soprattutto, scoliosi), diffuse patologie articolari praticamente irreversibili
e forte dolorabilità cronica al collo, al tronco e agli arti, imputabile, prevalentemente, a
sollecitazioni eccessive, o anomale, di numerosi gruppi muscolari.
Superiormente il tavolo di lavoro deve avere una superficie utile, di tipo
opaco, fonoassorbente e, possibilmente, gradevole al tatto, abbastanza ampia da
consentire una disposizione razionale di tutto il materiale occorrente per l’esecuzione delle normali attività operative, mentre in basso deve possedere spazio strategico sufficiente per una
conveniente sistemazione degli arti inferiori, per la collocazione di un’eventuale pedana di supporto, per la parziale introduzione della relativa sedia,
per l’inserimento di cassettiere o di servomobili accessori e anche per l’innesto di appendici di servizio laterali integrative. La sedia, fissa o
locomobile (con ruote pivotanti), morbidamente imbottita e modellata “anatomicamente”, per facilitare l’assunzione di una posizione operativa ideale deve avere alcune caratteristiche
ergonomiche fondamentali, come: l’altezza regolabile, per permettere un comodo appoggio dei piedi sul pavimento o
su un apposito supporto e, contemporaneamente, l’agevole collocazione degli avambracci sul piano di lavoro o sui braccioli, lo
schienale inclinabile e adattabile alle dimensioni corporee dell’utente, per favorire la corretta angolazione del tronco rispetto agli arti
inferiori senza determinare alterazioni sostanziali della naturale curvatura “a doppia esse” propria della spina dorsale umana, e la base antiribaltamento a cinque razze,
con un baricentro relativamente basso in grado di garantire il mantenimento di
equilibri stabili, prevenendo pericolosi infortuni o rovinose cadute. I
personal computer, le workstation dedicate, i terminali informatici, i
calcolatori elettronici e gli elaboratori telematici in genere, accessori
compresi (visori, analizzatori di immagini per la digitalizzazione eidomatica
automatizzata, stampanti), incluse le cosiddette “periferiche” marginali opzionali (data storage devices, driver, image setter, microfoni,
MIDI
[Musical Instrument Digital Interface] controller, MODEM [MOdulator/DEModulator], speaker), collocati sul piano di lavoro o posti in prossimità della postazione operativa principale devono avere involucri antiriflesso,
possibilmente monocromatici, verniciati con coloranti “tenui”, atossici e ipoallergenici, devono essere originariamente “silenziosi” o debitamente “silenziati” per ridurne la rumorosità e devono risultare concepiti, progettati e costruiti secondo gli standard di
sicurezza previsti dalle speciali normative settoriali in vigore a livello
internazionale.
Tuttavia i principi di igiene del lavoro applicati alle apparecchiature
elettriche, elettromeccaniche ed elettroniche accessorie presenti negli
ambienti professionali utilizzati dagli intellettuali devono tener conto di
fattori di rischio peculiari per quanto concerne l’inquinamento ottico (energia luminosa proveniente dagli schermi fluorescenti),
le perturbazioni acustiche (energia meccanica generata dalle ventole di
raffreddamento, dai servomotori o dagli eventuali dispositivi di segnalazione
sonora dei diversi congegni) e le contaminazioni radioattive (energia radiante
liberata dai cinescopi dei monitor). Infatti, per evitare problemi medici e
complicazioni sanitarie di qualsiasi genere, i visori (a tubo catodico, a
cristalli liquidi o al plasma), rigorosamente antiriflesso, devono sviluppare
immagini eidomaticamente stabili e morfologicamente definite, nettamente
distinguibili dagli sfondi, moderatamente luminose, opportunamente contrastate
e del tutto prive di aberrazioni ottiche, sia sferiche sia cromatiche; la
rumorosità intrinseca dei meccanismi, a qualsiasi regime di attività, non deve assolutamente riuscire molesta, e i segnali acustici di avvertimento,
sempre di intensità molto bassa e di durata assai limitata, non devono apparire timbricamente
sgradevoli o ritmicamente ossessivi; i campi elettromagnetici generati dai
monitor a tubo catodico devono essere ben contenuti dai telai portanti e dagli
involucri esterni, mentre le radiazioni ionizzanti ad alta energia (Raggi X)
liberate come sottoprodotto dell’eccitazione fotogena dei fosfori del cinescopio indotta dal fascio elettronico
incidente sullo schermo devono risultare sufficientemente assorbite dalle
strutture inerti di contorno.
La posizione corretta per lavorare al “videoterminale” è quella seduta di fronte al monitor, con la schiena eretta, i piedi saldamente
appoggiati a terra e gli avambracci pressoché paralleli al piano operativo, cioè alla superficie sulla quale sono collocati i vari dispositivi elettronici di
comando e di controllo (electronic pen o penna elettronica, joystick, keyboard
o tastiera alfanumerica, keypad o tastierino numerico, light pen o penna
luminosa, mouse, musical keyboard o tastiera dicroica, musical pad, optical pen
o penna ottica, touch screen, touch tablet o tavoletta grafica, trackball,
trackpad o tappetino sensibile
et similia). Poiché durante l’osservazione dello schermo del monitor viene continuamente sollecitata la
visione da vicino, gli occhi, costretti ad accomodare incessantemente, sono
sottoposti ad uno sforzo eccessivo che provoca un rapido affaticamento della
vista con una marcata difficoltà di focalizzazione delle immagini; pertanto sono consigliabili frequenti
micropause lavorative atte a favorire il rilassamento del muscolo ciliare, la
conseguente distensione del cristallino e la contemporanea riduzione dell’entità della fatica visiva, della portata del senso di “gonfiore” dei bulbi oculari e dell’intensità della sensazione di diffusa spossatezza che pervade l’organismo al termine di sessioni operative particolarmente impegnative, intense
o prolungate. (Naturalmente, per non aggravare le patologie pregresse, i
soggetti affetti da vizi di rifrazione o da difetti visivi equiparabili devono
utilizzare sempre gli opportuni dispositivi di correzione ottica.)
Prof. Riccardo Delfino